SDMA: Un analita più interessante nella ricerca che utile nella pratica clinica

L’utilizzo dell’SDMA come strumento diagnostico è stato proposto dell’Idexx per la diagnosi precoce di malattia renale cronica (CKD) nel 2015. Già a distanza di pochi anni dalla pubblicazione del cosiddetto studio di “validazione” del test, sono emersi lavori che attestano come l’SDMA non riesca (ma come potrebbe mai?) a distinguere tra malattia renale cronica e danno acuto. Inoltre, l’SDMA è un marcatore di danno glomerulare, eppure in alcune malattie, in cui è descritto tale danno,  l’SDMA risulta poco sensibile (es: leishmaniosi). Ancora altri lavori indicano come l’economico rapporto proteinuria/creatinuria possa essere più sensibile dell’SDMA. Tutto ciò genera molta confusione tanto che, per quanto l’SDMA dovrebbe essere utile nella diagnosi PRECOCE di danno acuto o cronico, esso viene richiesto in casi di danno renale CONCLAMATO, aggiungendo poco o nulla in quanto a diagnosi o prognosi. Più recentemente, infine, è stato riportato che nel gatto con età inferiore ai dieci anni, si corre il rischio di incorrere in falsi positivi nel 60% dei casi; nel cane, indipendentemente dall’età, nel 90% dei casi. Per tale motivo, l’introduzione dell’SDMA nei profili generici di analisi è stato altamente sconsigliato. Tutto ciò ha portato alla pubblicazione delle linee guida per il corretto utilizzo dell’SDMA nella pratica clinica da diverse associazioni di patologi veterinari, riportata in un successivo articolo. Questi aspetti sono stati discussi anche in una articolo pubblicato dalla Di.Lab. nella rivista Vet. Clin. Pathol. 2018:47, 338-339(DOI 10.1111/vcp.12651).